Reasoning e chain of thoughts: come pensano i modelli AI

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Per anni, parlare di intelligenza artificiale ha significato parlare anche di mistero. La frase “l’AI è una black box” è diventata quasi un mantra: sappiamo che questi sistemi funzionano, ma non sappiamo bene rappresenta. E questo, per molte aziende, ha rappresentato un problema serio. In settori dove la trasparenza è fondamentale — come la sanità, la finanza o la pubblica amministrazione — fidarsi di un sistema che “fa magia” senza spiegazioni non è mai stato facile.

Negli ultimi anni, però, qualcosa è cambiato. I progressi nella ricerca e nella tecnologia stanno lentamente aprendo questa famosa scatola nera, permettendoci di intravedere i meccanismi con cui le AI prendono decisioni, risolvono problemi, e in un certo senso… pensano. Una delle chiavi di volta di questo cambiamento è una tecnica chiamata Chain-of-Thought prompting e parte del più ampio campo dell'AI spiegabile (Explainable AI o XAI) - l'insieme di metodologie che rendono comprensibili i processi decisionali dell'intelligenza artificiale. Una seconda innovazione fondamentale arriva dalla supervisione dei processi di ragionamento, che insegna alle AI non solo a rispondere correttamente, ma a farlo nel modo giusto.

Queste due strategie stanno cambiando radicalmente il nostro rapporto con l’intelligenza artificiale. Vediamo come.

Come funziona la Chain-of-Thought?

Tradizionalmente, un modello linguistico — come quelli alla base degli assistenti virtuali — cerca di indovinare quale parola dovrebbe venire dopo, basandosi su grandi quantità di dati. Quando gli si fa una domanda, il suo obiettivo è produrre la risposta più probabile, nel modo più rapido possibile.

Il Chain-of-Thought prompting cambia completamente questa logica. Invece di chiedere direttamente la risposta, si chiede all’AI di “pensare ad alta voce”, esplicitando tutti i passaggi logici che portano alla soluzione . Un po’ come farebbe uno studente diligente davanti a un problema di matematica: “Prima moltiplico questo, poi sommo quello… quindi la risposta è questa”.

Questo approccio ha due vantaggi fondamentali. Il primo è pratico: spesso il modello arriva a una risposta più accurata, perché è costretto a fermarsi e ragionare, invece di “indovinare”. Il secondo è comunicativo : se possiamo vedere il ragionamento del modello, possiamo anche valutarlo, correggerlo, o semplicemente fidarci di più.

Non è solo una questione tecnica: si tratta di costruire un rapporto di collaborazione tra uomo e macchina. Se capisco si è basato mi consigli un certo investimento o un cambiamento nella strategia di marketing, sarò molto più propenso a seguire il consiglio.

Non conta solo la risposta, ma anche come ci si arriva

Se il Chain-of-Thought prompting migliora la performance in fase di risposta, c’è anche un lavoro da fare prima, durante l’addestramento dei modelli. Qui entra in gioco un’altra innovazione: la supervisione di processo. Nel passato, l’AI veniva allenata come uno studente a cui si corregge solo il risultato finale. O è giusto, o è sbagliato. Oggi invece la tendenza è valutare anche il percorso rappresenta: come ci sei arrivato? Dove hai sbagliato? Dove sei stato brillante?

In questo approccio, ogni passaggio del ragionamento dell’AI può essere osservato, valutato e corretto. È come se un team di insegnanti potesse seguire passo dopo passo il pensiero della macchina, premiando i ragionamenti corretti e aiutandola a evitare quelli sbagliati. Questo si è dimostrato molto efficace per ridurre gli errori e le cosiddette “allucinazioni”, cioè risposte completamente inventate che ogni tanto anche i migliori modelli producono. Il team di OpenAI, ad esempio, ha pubblicato uno studio in cui mostra che i modelli addestrati in questo modo sono molto più bravi a risolvere problemi complessi, soprattutto in ambito tecnico e scientifico. Non si tratta solo di “indovinare bene”, ma di pensare meglio.

Dentro i pensieri dell’AI: il caso Claude

Ma fino a che punto possiamo “vedere” cosa pensa un’intelligenza artificiale? Anthropic, ha cercato di rispondere a questa domanda, analizzando il suo LLM Claude.

I ricercatori hanno cercato di osservare in diretta cosa succede nella rete neurale di Claude mentre elabora una risposta. E quello che hanno scoperto è affascinante: Claude non solo “pensa”, ma lo fa in modo sorprendentemente simile a come potremmo farlo noi. Organizza le idee, stabilisce priorità, sceglie parole chiave prima ancora di iniziare a scrivere. In alcuni casi, sembra persino pianificare in anticipo la struttura dell’intera risposta.

E non finisce qui: Claude è stato osservato mentre “ragionava” in più lingue contemporaneamente, suggerendo che esista una sorta di linguaggio del pensiero che va oltre le singole lingue umane. Tutto questo ci avvicina sempre di più a comprendere davvero come “funziona la mente” di una macchina.

Cosa significa tutto questo per le aziende?

Trasparenza, controllo, spiegabilità: queste sono le parole chiave per le imprese che vogliono integrare l’AI nei propri processi. Avere un modello che non solo risponde, ma spiega come è arrivato alla sua risposta, rappresenta un salto di qualità enorme.

Pensiamo a un’AI che supporta un team marketing nella creazione di una campagna. Se il sistema propone un target o un messaggio, sarà importante sapere su quali dati si è basato, quali associazioni ha fatto, quali alternative ha scartato.

Questo non solo migliora l’efficacia della campagna, ma aumenta la fiducia e la collaborazione tra esseri umani e sistemi intelligenti. Allo stesso modo, in ambito legale o sanitario, un modello che “ragiona” in modo trasparente può diventare un alleato prezioso, non solo un assistente automatico.

Un nuovo modo di pensare l’intelligenza artificiale

Tutto questo ci porta a una conclusione chiara: l’AI non è più (solo) una black box. Sta diventando una finestra aperta su un nuovo tipo di intelligenza, che possiamo osservare, comprendere, e con cui possiamo dialogare.

Investire in modelli trasparenti, che rendono visibile il loro processo decisionale, non è solo una scelta tecnologica. È una scelta strategica. Significa costruire sistemi più affidabili, più responsabili, e soprattutto, più utili per chi ogni giorno deve prendere decisioni in contesti sempre più complessi.

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AI Evangelist e Marketing specialist per Neodata

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